S. Maria Odigitria

Arciconfraternita - Reliquiario

Arciconfraternita – Reliquiario

Il culto mariano si è manifestato nel corso del tempo nelle preghiere, nelle invocazioni, nei titoli e nelle immagini. Le icone  generalmente sono rappresentazioni della Madonna collegate agli episodi evangelici e ai suoi titoli teologici. Altre sono riconducibili ad un’apparizione, ad un miracolo, ad un determinato santuario. Tutte le immagini rimandano al suo titolo più eccelso di Madre di Dio, il nome che tutto contiene, la sintesi della vocazione e della missione di Maria, il principio da cui scaturiscono le sue prerogative. Il punto di partenza, dunque è la Theotòkos, Deipara, Madre di Dio. Proposta inseme al Figlio, la Vergine viene definita Odigitria, colei che indica in suo figlio Gesù la via della salvezza. Con il Bambino in braccio è designata come Theotòkos Brefokratoùssa Odigitria, custodita nella chiesa del monastero dell’Odegon. La chiesa accetta come Prima Icona della Theotòkos quella dell’Evangelista Luca che la rappresentava con il Signore tra le braccia. La miniatura del codice greco del “Panaghiu Tafù” n. 14 del X secolo iconizza l’apostolo Luca. Lo Zògraphos mirava a rappresentare la bellezza spirituale della Theotòkos  nei suoi tratti caratteristici: volto allungato e dipinto con linee astratte, occhi fissi all’infinito, naso affilato e lungo, labbra sottili e immateriali, corpo privo di peso e celato, vesti a pieghe, mani delicate, piedi piccoli e leggeri. L’antico iconografo era sgomento al pensiero di raffigurare la madre di Dio. Sgorgava spontanea dal profondo una richiesta di aiuto. Si accingeva ad operare dopo un lungo periodo di studio, di silenzio e di concentrazione. Pregava e digiunava forse per sperimentare le sensazioni di leggerezza e di etereità.

Tremante tracciava le prime linee con senso di sconcerto, conscio che non si poteva rendere visibile l’invisibile. Il pittore si rendeva conto che doveva rappresentare non l’umano, ma qualcosa di immateriale, qualcosa che trascendesse la dimensione terrena e si proiettasse verso l’alto dei cieli, dove era stata assunta la Theoyòkos Brefokratoùssa Odighitria.

Alla base del culto dell’Odigitria stanno i concili  ecumenici di Efeso del 431 e di Nicea del 787. Il Concilio di Efeso del 431 ha stabilito la divina maternità della Madonna, definita per dogma Madre di Gesù e come tale Madre di Dio. Questo dogma è il caposaldo di tutta la vasta materia che va sotto il nome di Mariologia e che include anche la definizione di Hodigitria.

Per la Teologia delle sacre icone è stato fondamentale il Concilio di Nicea del 787. Il Concilio delle Icone definisce il culto rivolto esclusivamente a Dio col termine greco “latrèia”, latria o adorazione. Il culto rivolto ai Santi è definito in greco “doulia” o venerazione, il culto rivolto alla Madonna è detto “Iperdoulìa”, cioè speciale venerazione. Il Concilio ha sancito “Definiamo che, come le rappresentazioni della Croce  preziosa e vivificante anche le immagini d Gesù Cristo, della Madre di Dio, dei Santi Angeli e di tutti i Santi e dei giusti devono essere poste nelle sante Chiese di Dio”. Il modello fatto da mano d’uomo rimane un’immagine sbiadita del modello originale, cui deve essere indirizzato il culto dei fedeli devoti.

Giova ricordare quanto è affermato nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ai nn. 2131 e 2132, e cioè che “l’onore tributato alle sacre immagini è una venerazione rispettosa, non un’adorazione che conviene solo a Dio; incarnandosi il Figlio di Dio ha inaugurato una nuova economia delle immagini. Più chiaramente il Compendio del Catechismo, a pag. 132, n. 446 asserisce” Il culto cristiano delle sacre immagini è giustificato, poichè si fonda sul Mistero del Figlio di Dio fatto uomo, nel quale il Dio trascendente  si rende visibile”. Tra le icone che meglio si prestano a trasmettere il messaggio evangelico “per Mariam ad Jesum ” spicca l’Odigitria. Ogni Madonna “Madre del Bambno” è Hodigitria, cioè Colei che indica in Cristo la via della salvezza. Andando indietro nel tempo, ricordiamo che il popolo ebraico non solo non aveva la tradizione delle immagini sacre, ma addirittura aveva il precetto di “non pronunciare il nome di Dio”, divieto dunque di visione e di parola. Nei primi secoli il cristianesimo ha seguito una strada diversa, forse perchè il contato con i “gentili” ha fatto passare il concetto che fosse cosa buona avere le icone, ottima se poi queste rimandavano ai modelli originali. Per molto tempo c’è stato un convincimento diffuso che le immagini ricordassero le persone. Anche i pagani avevano le statue delle divinità, ma si riferivano a ciò che non esisteva e quindi erano proiezioni della mente umana. Il cristiano ha trovato subito congeniale la rappresentazione semplice ma efficace del simbolo della croce, che in sintesi racchiudeva tutta la storia della salvezza.

Dal Crocifisso si passò alle statue del Cristo, della Madonna e dei santi. Questo è andato bene per settecentoventotto anni, fino a quando l’imperatore di Costantinopoli, Leone Isaurico, dichiarò guerra alle immagini, guadagnandosi l’appellativo di Iconoclasta, distruttore di immagini. Dall’Oriente il cuto mariano ha preso la via dell’Occidente arrivando anche nelle nostre contrade e perpetuandosi fino al nostro tempo. Quale la “ratio formalis” del culto speciale tributato alla Vergine Maria nel corso dei secoli? Tutto risiede nella sua divina maternità. Questa pone Maria in stretta relazione con Dio Uno e Trino e con gli uomini e specialmente i fedeli che formano il Corpo Mistico di Cristo. Per questo Maria viene chiamata “icona escatologica della Chiesa, poichè è già ciò che la Chiesa è chiamata ad essere ed in Lei anch’essa si realizza. Come icona escatologica Maria è anche il pegno di ciò che la Chiesa sarà perchè Maria è membro della Chiesa e perciò questa può dire di aver ottenuto già, almeno in un membro, ciò che le èstato promesso”. La Vergine Odigitria sia per ciascuno di noi icona di fede, di speranza e di carità. (Fortunato Mangiola)