SANT’AGATA 5 FEBBRAIO 2021 – DON GIANLUCA BELFIORE – OMELIA

Quando il Rev. Primicerio della nostra Ven.le Confraternita mi chiese di presiedere questa Santa Messa, immediatamente gli manifestai la mia gratitudine, insieme alla domanda: perché proprio io e non, piuttosto, un sacerdote catanese?

Chiedere ad un siracusano di celebrare la gloria di Sant’Agata, tuttavia, riporta la mente ad un episodio della vita di Santa Lucia, martire siracusana. Quando, cioè, Ella, insieme a Sua madre, Eutychia, si recarono al sepolcro di Agata, a 50 anni dal suo dies natalis, il 5 febbraio dell’anno 301. Lì, la santa Siracusana chiese a Sant’Agata di intercedere per la madre inferma. Agata apparve, poi, in sogno a Lucia, indirizzandole una frase che rimane scolpita nella Liturgia che ancora oggi, a distanza di 1720 anni celebriamo:

Lucia virgo, quid a me petis ?

Quod ipsa poteris praestare continuo nam et matri tuae ?

fides tua subveniat et ecce salva est quia iucundum Deo in tua virginitate habitaculum praeparasti.

Sicut per me civitas Catinensium sublimatur a Christo

ita per te civitas Syracusana decorabitur a Domino lesu Christo.

Queste parole ritengo siano un vero compendio per la vita di ciascun cristiano, in quanto pongono in Iuce gli elementi essenziali della santità: il primato della fede; la conformazione a Cristo; la dimensione ecclesiale della santità.

Il primato della fede in Dio, per la vita di ciascun cristiano, occorre sia oggi riaffermato.

Allorquando, infatti, potesse pensarsi che una qualsiasi filantropia, in sé, sia appagante a sufficienza per la vita dell’essere umano, è d’uopo che s’inviti l’uomo ad

innalzare lo sguardo a quel Signore che ci ha donato la vita divina spargendo il Suo Preziosissimo Sangue. Occorre ricordare che la fede, che è, insieme, dono di Dio all’uomo e virtù teologale, non è la mera adesione filosofica ad un pensiero bimillenario, ma richiede una rispondenza della vita, delle opere: la fede senza le opere è morta (Gc 2,26).

Il frutto di questa fede è, appunto, la conformazione a Cristo.

Essa non è un’opera “muscolare” di ascesa verso un’alta cima, ma, piuttosto, l’accondiscendenza, la docibilitas allo Spirito Santo. Potremmo dire che la santità non SI raggiunge, ma CI raggiunge. Questo avviene a condizione che noi abbracciamo in piena libertà il disegno di Dio su di noi e non frapponiamo ostacoli all’opera dello Spirito che è in noi sin dal giorno del nostro Battesimo, sin da quando siamo diventati membra del Corpo mistico di Cristo, della Sua Chiesa.

E’, infatti, ecclesiale la nostra fede e, dunque, la nostra santità. Nessuno — ci ha ricordato papa Francesco — si salva da solo. E, in forza della comune appartenenza al medesimo Corpo di Cristo, nulla è indifferente di ciò che ciascuno di noi compie nella propria vita, nelle proprie giornate. Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui (1Cor 12,12). Ecco perché la’ città di Catania è stata innalzata a Cristo per l’esemplare vita di Agata e Siracusa per quella di Lucia. Ecco perché i nostri santi possono continuare ad intercedere per noi presso il Padre.

Si tratta del sublime scambio dei beni spirituali che opera fra le membra del Corpo mistico di Cristo. Questa comunione dei santi, attraverso cui la vita cristiana può crescere, svilupparsi e comunicarsi, opera fra tutti i membri della Chiesa, quelli qui pellegrini sulla terra, quelli che attendono — in Purgatorio — di poter godere della visione beatifica, e quelli che già vivono neII’eternità dell’amore Dio.

Leggiamo neIl’ApocaIisse: «Vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso. E gridarono a gran voce: “Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia?”» (6,9-10). E Benedetto XVI neIl’Omelia d’inizio del suo Pontificato: «siamo circondati, condotti e guidati dagli amici di Dio. […] Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta».

Per tale ragione, oggi, continuiamo ad invocare l’intercessione della Beata Agata. Perché Ella, nella sua vita, avendo aderito perfettamente a Cristo, non cessa di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù Cristo, suo sposo, unico mediatore tra Dio e gli uomini.

La vita dei martiri è una vita esemplare per noi cristiani e, in ciò, bisogna collocare   proprio il senso di tale denominazione. Come noto, infatti, martyria significa,   testimonianza. Alle volte, siamo portati a pensare che il martirio consista   semplicemente nell’essere uccisi in odio alla fede, quando, invece, la fedeltà fino all’effusione del sangue non è che il coronamento di una vita offerta a Cristo. Spargere il proprio sangue nella fedeltà a Cristo, infatti, è l’atto supremo  finale della dedizione della vita a Lui.

 Agata, che s’imbatté nella persecuzione di Decio (249-251) — durante la quale s’ingiungeva ai cristiani di rifiutare la propria fede, per votarsi agli dei pubblici romani, pena la morte — non abiurò alla fede in Cristo, suo verginale sposo, ed entrò nella gloria dei martyres coronati o consummati. Nell’ambito delle narrazioni pervenute, compare il nome di tale Quinziano, il quale sarebbe stato consularis a Catania e si sarebbe invaghito della giovane e bella Agata. Negli atti del Martirio si comprende il  contegno della giovane, animata dallo Spirito Santo. Se mi condanni alle all’udire fiere,il nome  queste, di Cristo, si faranno mansuete; se mi darai alle fiamme, gli Angeli dal cielo mi appresteranno rugiada di salvezza; se mi darai ferite e percosse, ho dentro di  me lo Spirito Santo, che mi darà la forza di disprezzare ogni tuo tormento.

Ella, quindi,non desistette dal voto di verginità consacrata al Signore e, dunque, da parte romana, aggiunse sfregio a sfregio, da parte cristiana, virtù a virtù. Salda nella fede a Cristo suo sposo.

 Non voglio entrare nelle narrazioni della passio Agathae a noi pervenute, se non per  ricordare una preghiera che Ella avrebbe pronunciato prima di rendere l’anima a Dio:

           Signore, tu mi hai creata e custodita

           fin dalla mia infanzia e nella giovinezza mi hai fatto agire virilmente.

           Hai tolto da me l’amore del mondo,

           hai preservato il mio corpo dalla contaminazione,

           mi hai fatto vincere la ferocia brutale del carnefice,

           il ferro, il fuoco, le catene,

           mi hai dato fra i tormenti la virtù della

           pazienza.                                      i

           Ti prego, Signore, accogli il mio spirito.

           È tempo che io lasci questo

          mondo per giungere alla tua misericordia.

Anche in tale ultima espressione della sua fede in vita, Agata richiama il primato del Signore e ricapitola la Sua vita alla luce dell’incontro col Suo sposo. Noterete, infatti, come Ella non si attribuisca alcun merito in ordine alla propria esistenza, ma rimetta ogni dono alla generosità di Colui che è latore di ogni dono. Tutta la preghiera è composta in seconda persona. Anche al termine della vita, dunque, Ella scompare,facendo emergere Cristo Signore quale protagonista della Sua vita. Questa è la profonda conformazione a Cristo che Paolo racchiude nelle parole della Lettera ai Galati: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.

Tale identificazione con Cristo Agata la reca anche nel suo nome. Agathos, infatti, in greco significa buono ed Ella, sposa del Sommo Bene, non è altro che la luce riflessa della Santità di Dio e, dunque, della Sua bontà. Dio ha vissuto in lei che, praticando il Vangelo delle Beatitudini, si è mostrata quale testimone (matryr) del Suo amore. Colei che affettuosamente i Catanesi invocano come “a Santuzza” è, in realtà, una grande santa, in quanto ha lasciato che la sua vita parlasse e pubblicamente testimoniasse la bellezza dell’appartenere a Cristo.

Oggi, ricorrendo alla sua potente intercessione, chiediamo a Cristo, suo sposo, di

mantenerci fedeli nell’ora della prova.

Oggi, l’ora della prova non consiste nella resistenza a sacrificare agli dei pubblici

romani, ma, piuttosto, a quegli idoli che la società secolarizzata ci impone nei modi più diversi e che sempre più ci allontanano dalla libertà e dalla dignità che Gesù ci ha acquistato con Suo Sacrificio.

Oggi siamo tutti schiavi di moltissimi “dei pubblici” che ci privano della libertà dei figli di Dio:

  • e dall’ambizione della carriera ad ogni costo, che ci fa vedere nel prossimo non un fratello da amare, ma un gradino da calcare;

  • alla sfrenata ricerca del profitto, che non tenendo in minimo conto né i metodi adottati per pervenirvi, né la fonte cui si attinge, né il fine per cui si impiega, può causare — come ha ricordato il Santo Padre — che si tocchino soldi e ci si sporchi le mani di sangue, del sangue dei fratelli;

  • all’immoderata ricerca del piacere, in cui il prossimo diventa strumento del mio  godimento e viene spogliato della sua dignità.

  • Cè un altro “dio pubblico” che Papa Francesco esprime con la locuzione “globalizzazione dell’indifferenza” «che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla». Potremmo auspicare che questo falso dio, cui molti sacrificano quotidiane offerte, in forza di questa pandemia che ci sta duramente provando, sia stato sconfitto, in quanto, come ha detto il Santo Padre «ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda». Ma purtroppo, anche in questo caso, dobbiamo  riconoscere di essere un “popolo dalla dura cervice”: sono, infatti, sotto gli occhi di tutti i particolarismi su base nazionale e le altre ignobili logiche che stanno muovendo la distribuzione dei vaccini.

Dinnanzi a questi e ai molti altri idoli che ci vengono propinati dall’odierna società è necessario riaffermare la portata liberatrice dell’adesione a Cristo che esalta la

dignità della persona, chiamandola a partecipare della vita divina. Ecco che Sant’Agata si pone innanzi a noi come modello di virtù e, insieme, come tramite di intercessione presso il Padre. Ella, che con fortezza resistette alle tentazioni del mondo ed intrepida affrontò le torture dei suoi aguzzini, ci conceda di vivere la nostra vita in maniera coerente con la fede che professiamo e di godere dell’eternità beata nei cieli.

                                                            Don Gianluca Belfiore